Un pittore eclettico, fuori dal comune, Concetto Pozzati, uno di quegli artisti che esprimono la propria creatività permettendole di esplodere dalla propria natura garbatamente passionale, amante viscerale di quell'arte che nasce nello spirito, forse ereditata dai suoi illustri avi Mario e Severo Pozzati, grandi maestri del Novecento.
Concetto fa parte di una nuova generazione artistica e si distingue nettamente dai suoi predecessori per il proprio individualismo creativo.
Mario e Severo (Sepo) operarono contemporaneamente al celebre Giorgio Morandi: Sepo, innovatore della sua epoca, ebbe il merito di innalzare ad arte vera quella che fino a prova contraria era considerata solo una sottospecie di arte, cioè l'arte dell' afficheur, del cartellonista e creò un atelier di pubblicità a Parigi presso il quale lo stesso Concetto ha studiato in gioventù, tant'è che negli anni Sessanta ha fondato la scuola bolognese di Arte Pubblicitaria dedicata al padre Mario. Concetto però, ha pure continuato a sviluppare e a far crescere la sua attività pittorica anche attraverso una fitta rete di mostre ed esposizioni importanti quali le Biennali veneziane, la Quadriennali romane, esposizioni a Parigi, a Tokyo, in Brasile e pesino a Documenta a Kassel.
L'opera di Pozzati è sempre stata determinata da una vena di profonda autonomia, anche nei confronti dei suoi due illustri avi: soprattutto gli ultimi lavori enigmatici e misteriosi, anche nei titoli stessi, sono assolutamente liberi e aperti a qualsiasi forma d'interpretazione, come la serie degli "Impossibili paesaggi" esposti alla galleria Bortolotti di Bologna nel '95 che hanno in sè qualcosa di alienante, di disarmante che costringe l'osservatore a meditare sulla realtà del mondo terreno, spesso cruda e a volte degenere.
In "Darsi appuntamento in un impossibile paesaggio" appaiono forme senza tempo, antiche e moderne insieme, oggetti statici, fossili concrezioni ed elementi fissi ma allo stesso tempo caotici che trasmettono nella mente un senso disarmante di vuoto, di sconosciuto, di sospensione e soprattutto, di disagio e insostenibilità "...Dietro la quale ad esempio hanno innestato il loro lavoro artistico un Giacometti, un Bacon:immagini che sfiorano l'esistente con una massima, spasmodica intensità e implosione dell'esserci, nell'istante stesso in cui questo si polverizza e dilava nella mancanza" (1995, Piero Bellani in "Pozzati").
Sulla dimensione distruttrice del tempo, sulla caducità dell'esistenza materiale Pozzati ironizza bonariamente nei confronti della debolezza del mondo.
Abbiamo rivolto qualche quesito all'artista riguardo alla sua attività:
- Cos'è l'arte per Concetto Pozzati e quale futuro avrà?
Personalmente mi definisco pittore e non so cosa sia in realtà l'arte, però so bene cosa essa provochi nel mio spirito: palpito, tumulto, rossore e passione. L'arte è quel che si dice che sia ma, certo, per essere tale deve superare la dimensione temporale. L'arte odierna necessita di verifiche del tempo: bisogna resistere al presente per poter esistere.
- E l'arte al computer?
Di solito cerco di evitare il più possibile l'uso di elementi o materiali tecnologici: la pittura tradizionale è una corteccia dura da scalfire ed è proprio nel momento finale di realizzazione di un'opera d'arte che il suo creatore ama l'opera stessa; secondo me la pittura virtuale, soltanto visiva, non durevole, può essere considerata niente più che uno strumento.
- Lei discende da una famiglia di illustri pittori: quale influenza hanno avuto, se influenza vi è stata, sulla sua personale realizzazione artistica?
Essere figli d'arte è già di per sè una fatica, devi sempre misurarti con i giudizi e con i confronti. Mio padre venne a mancare quando avevo ancora dodici anni e io sinceramente non desideravo dipingere, infatti ho studiato architettura: poi però ho cominciato a capire il valore dell'opera di mio padre seguendo i suoi lavori e leggendo i suoi scritti che purtroppo sono stati editi soltanto nel 1994, proprio quelli in cui emergeva il suo senso spiccato, di ribellione contro le problematiche dell'esistenza. Mario Pozzati fu un uomo che volle sprecare se stesso e io lo disapprovo per questo,ma poi l'amore verso di lui e verso la sua opera finalmente è esploso in me. Mio padre e Osvaldo Licini sono stati i miei veri maestri. Con Sepo i rapporti dapprima erano buoni, poi sorsero dei malintesi. Mio zio ebbe il merito di non consumare se stesso, come accadde per mio padre, unico problema fu quello di non riuscire a vincere la forte nostalgia di essere diventato grande come cartellonista. In realtà fu un importante maestro della Pop Art! E' vero, fu un anticipatore, per me è sempre stato motivo di orgoglio il fatto di aver potuto conoscere i grandi artisti proprio attraverso Mario e Sepo: per onorarli mi sono prodigato a costruire una fondazione che purtroppo non si è potuta realizzare, però una parte di opere e disegni sono state donate alla Galleria d'Arte Contemporanea di Ferrara, perchè i Pozzati sono originari di questa città.
- I suoi progetti per il futuro?
Si è conclusa da poco la mostra presentata alla Bortolotti di Bologna, ora vi è un progetto per un'antologica da produrre insieme ai comuni di Urbino, Fano e Pesaro e una personale in collaborazione con la galleria d'Arte Moderna di Modena
- Lei è stato al centro di una polemica per la realizzazione della sede d'istallazione del Museo Morandi che venne allestita al palazzo d'Accursio di Bologna...
Prima di diventare Assessore alla Cultura della città bolognese, mi sono battuto affinchè il museo dedicato a Giorgio Morandi venisse collocato alla Galleria d'Arte Moderna, infatti ritenevo e ritengo tuttora, che un artista come Morandi fosse la luce splendente del cui riflesso vivono le altre gemme esposte alla Galleria d'Arte Moderna. Oggi la mia speranza è che l'attuale museo possa ampliarsi ulteriormente soprattutto dal punto di vista qualitativo. Mi auguro che si possano inserire al più presto i tasselli mancanti delle opere realizzate dal grande maestro bolognese: ciò sarebbe veramente importante non solo per l'arte ma in generale, per la cultura della nostra città
Anna Rita Delucca 1996 (Copyright)